Il Fondatore
Giorgio d’Avack, secondo di cinque fratelli di padre romano e madre di origine tedesca nacque a Roma il 22 luglio del 1905 ed è ordinato sacerdote il 1 dicembre 1929, a 24 anni.
Da ragazzo aveva frequentato la Congregazione del Cardinal Massimi di Piazza San Silvestro e aveva conosciuto lo scoutismo presso il Riparto Roma 2 presso la Chiesa di S. Ignazio.
Appena divenuto sacerdote ha iniziato a svolgere il suo apostolato tra i giovani nella Congregazione mariana della Scaletta presso la Chiesa di S. Ignazio, collaborando con i Padri gesuiti ma già dopo soli quattro anni, il 20 giugno 1933, iniziò a riunirsi con pochi ragazzi (Gigi Poce, Lando Ferretti e alcuni altri) per iniziare con loro, che già frequentavano la Congregazione Mariana della Scaletta, un cammino di crescita spirituale più profonda. Era un “ristretto” come amava definirlo lui stesso, cioè un invito ai ragazzi più generosi a dare e fare di più per la loro crescita spirituale ed umana. Ha lavorato per tutta la vita presso la Santa Sede prima presso la Congregazione del Concilio e poi presso la Congregazione per il Clero.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale molti dei soci della Congregazione del Cardinal Massimi di Piazza San Silvestro, che Don Giorgio aveva frequentato da ragazzo e che non sopravvisse al suo fondatore, videro nell’ORA la prosecuzione di quell’originaria intuizione e vi mandarono i figli. Tra i tanti l’Avv. Adriano Pallottino, che iscrisse all’ORA ben otto figli, e il Prof. Carlo Francesco D’Agostino.
Quale fu l’intuizione di Don Giorgio? Formare i ragazzi attraverso l’apostolato, il servizio agli altri, seguendo la spiritualità ignaziana, e con una spiccata devozione a Maria. E l’apostolato al quale si dedicò Don Giorgio negli anni ’30 del secolo scorso era veramente all’avanguardia: il catechismo alla “Borgata Finocchio”, zona periferica di Roma abbandonata a se stessa e di prima immigrazione; ed ancora, catechismo e distribuzione di generi alimentari e beni di prima necessità nei baraccati alla periferia di Roma.
Nessuno avrebbe dato credito in quegli anni a quel giovane prete. Don Giorgio raccontava che nemmeno lo volevano ordinare sacerdote, ma poi il fratello Giuseppe – futuro Arcivescovo – si impose; l’allora Parroco di San Lorenzo in Damaso gli disse “Tu …, proprio Tu vuoi fare una cosa del genere, un’opera che si occupi della formazione dei ragazzi …” come dire “non sarai assolutamente in grado”. Ed invece “quae stulta sunt mundi, elegit Deus, ut confundat sapientes” (I Cor., 1, 27) amava ripetere Don Giorgio “Dio ha scelto le persone che agli occhi del mondo sembrano le più incapaci, per confondere i sapienti”; ed aggiungeva “io sono bbono da gnente, eppure l’ORA è cresciuta e ha fatto tanto del bene, segno che l’ORA è opera tutta di Dio”.
L’ORA aveva infatti iniziato subito la sua attività con il nome di CAL – Centro Apostolato Laico (denominazione molto moderna quando la parola “laico” era spesso vissuta come un affronto dalle gerarchie ecclesiastiche), ma l’incombente regime fascista suggerì a Don Giorgio di attribuire all’Opera un nome più propriamente ecclesiastico; l’Opera venne quindi intitolata a Maria Regina degli Apostoli, ed in quel nome si racchiude tutto il carisma dell’ORA: formazione umana e spirituale attraverso l’apostolato e devozione a Maria.
Dopo la guerra riprende i contatti col mondo dello scoutismo cattolico ed in particolare con P. Agostino Ruggi d’Aragona, anche lui scout del Riparto Roma 2 e divenuto Padre Domenicano che in quei mesi era tra i fondatori dell’A.G.I. (Associazione Guide Italiane); Don Giorgio decide di aprire all’ORA, dopo lo scioglimento nel 1928 di tutto lo scoutismo disposto dal fascismo, nell’aprile del 1944 con la città ancora occupata dai tedeschi, uno tra i primi Riparti della città: il Roma XXXII.
La storia di Don Giorgio è quindi intrecciata e legata alla storia dell’O.R.A.: tra soddisfazioni e preoccupazioni, gioie e difficoltà, sempre confidente nella protezione di Maria di cui era devotissimo; ogni anno infatti si recava in pellegrinaggio a Lourdes o a Fatima.
Per tanti anni è stato anche cappellano delle Suore dell’Immacolata di Ivrea e tutte le mattine alle 6 celebrava per loro la S. Messa nella Chiesa di S. Rufina in Trastevere.
In pensione dal 1975 ha dedicato all’ORA tutte le sue energie, il suo tempo, i suoi soldi.
Il 20 settembre 1992 al termine della Messa domenicale dell’ORA a S. Ivo alla Sapienza si rende conto di non potersi alzare; rimarrà immobilizzato per un anno, sino alla sua morte il 7 ottobre 1993, festa della Madonna del Rosario.
Ricordo di Don Giorgio (Benedetto Orsini)
Anche se nessuno di voi più giovani mi conosce, vi basti sapere che mi chiamo Benedetto, e sono stato uno di voi, per una ventina d'anni del lungo cammino dell'ORA.Oggi vorrei ricordare Don Giorgio raccolto nella meditazione della Scrittura e nella contemplazione delle vite dei Santi, in sede, nella sua stanza o seduto al tavolo da ping pong, in mezzo a tre o quattro libri aperti. Potevi andare a trovarlo in ogni momento della giornata, con la certezza di non disturbarlo e con la sensazione che – in quel momento – lui stava comunque aspettando te, per far scendere il frutto delle sue meditazioni sulle difficoltà e le aspirazioni della tua quotidianità.Anche quando ci accompagnava nelle attività "straordinarie", Don Giorgio lasciava sempre aperta la sua porta: durante il campo era quella della sua tenda, piantata poco distante dalle nostre, con una veranda da cui non ci perdeva d'occhio; agli Esercizi Spirituali era la sua stanzetta ad accoglierti, per aiutarti ad adattare proprio a te le mille ispirazioni offerte dal predicatore.Con l'avanzare degli anni, venne poi un periodo di grande prova per lui: dapprima diventò impacciato nel guidare la macchina nel tragitto quotidiano tra la sede e Villa Assunta (la residenza per sacerdoti dove dormiva, sull'Aurelia), ma lui neppure prendeva in considerazione la possibilità di non venire a trascorrere tutte le sue giornate all'ORA. Abitando io vicinissimo all'ORA, spesso lo aiutavo a fare la manovra nel cortile di San Lorenzo in Damaso (dove parcheggiava) e mi si stringeva il cuore a vederlo mentre si avventurava pericolosamente nel traffico di Corso Vittorio, verso l'Aurelia. Del resto, un motto di Don Giorgio diceva: "non basta volere, bisogna volere con rabbia!" Poi dovette rinunciare, le gambe lo stavano abbandonando. Non veniva più all'ORA, ed inesorabilmente finì per non riuscire a muoversi dal suo letto. Anche a Villa Assunta, proprio davanti all'ingresso, gli altri ospiti, le suore e gli infermieri trovavano la sua porta sempre spalancata, e non resistevano dall'entrare e poi avvicinarsi a quel Padre sempre sorridente, nonostante soffrisse di chissà quali dolori per le piaghe che la lunga immobilità gli aveva inferto. Voi più adulti, che avete avuto il dono di conoscere personalmente Don Giorgio, sapete che non esagero se io testimonio che visitare Don Giorgio, in quel periodo estremo, era come soffermarsi in cappella a contemplare il Crocefisso; si percepiva che quella "soavità" nel vivere la sofferenza era il frutto spirituale di un'intera vita di meditazione e di preghiera, e si alimentava ogni giorno nel dialogo sempre più intimo con Gesù, inerme e vincitore al tempo stesso.Ma, come avrete ormai intuito, tutta la meditazione e la preghiera di Don Giorgio non erano per sé stesso, bensì erano immediatamente condivise con noi suoi ragazzi: fino all'ultimo, infatti, il suo pensiero era continuamente rivolto all'ORA, ed il suo cuore non riusciva a rassegnarsi all'idea di esser lontano, anche se solo fisicamente, da Via dei Baullari, dalle attività, da Voi giovani. Per continuare a farci da tramite affettuoso dell'Amore e della Sapienza di Dio, come sicuramente è ancora oggi, da lassù.
Grazie Don Giorgio!